Giovedì, 28 Marzo 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

LA SETTIMANA IIIª DI QUARESIMA

LA SETTIMANA IIIª DI QUARESIMA

PRIMA LETTURA

Dal libro dell’Èsodo
In quei giorni, mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 
Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.
Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele». 
Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». 
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

SALMO RESPONSORIALE

Il Signore ha pietà del suo popolo.

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.

Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.

Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Non voglio che ignoriate, fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo. Ma la maggior parte di loro non fu gradita a Dio e perciò furono sterminati nel deserto.
Ciò avvenne come esempio per noi, perché non desiderassimo cose cattive, come essi le desiderarono.
Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi. Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

IL COMMENTO

Fonte: IL POPOLO

Perché il male? Perché i terremoti e i cataclismi? Perché la chiusura dell’azienda in cui lavoro? Perché la malattia o la sofferenza di una persona cara? Perché la morte? ...sono infinite le domande che si scatenano di fronte al male e alle tragedie collettive e personali. Dio è responsabile? Se non posso accusarlo di esser il diretto colpevole di quello che mi fa soffrire, ammetto che mi viene da accusarlo comunque di essere un po' assente o "colpevolmente distratto" davanti ai drammi umani.

E la Parola cosa ci dice? Già nella straordinaria prima lettura di questa domenica trovo risposte significative. Il nostro Dio è colui che è presente come un roveto ardente che non si consuma, segno della sua presenza perenne che arde d’amore per l’uomo di tutti i tempi.

Poi “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido...”: questo ci rivela che il nostro Dio è sempre attento al dolore dell’uomo. Nell’epopea di Mosè viene poi sottolineato molto bene che il Signore non è la soluzione dei problemi bensì Colui che si fida a tal punto da inviare noi come sua “soluzione”. E, se non bastasse, per Lui non sono un problema neanche i nostri difetti: manda Mosè che è balbuziente… manda me con le mie mancanze!

Un ultimo passaggio: il “nome di Dio”. Qui il Dio d’Israele svela il suo essere che è un essere per l’uomo, il suo farsi vicino e compagno di viaggio. Definendosi “Io sono colui che sono”, Dio si definisce come colui che è e sarà sempre con Israele, come il suo alleato. Il vero nome di Dio è “io non ti abbandonerò mai!”.

Se la prima parte del vangelo odierno può rientrare nella riflessione fin qui scritta, decisamente particolare risulta la parabola del fico.

Una parabola che, per chi ha origini contadine come il sottoscritto, offre alcuni dettagli, impercettibili, ma decisamente strani.

Gesù parla di un fico piantato nella vigna. E' la vigna del Signore, il regno di Dio, i tralci siamo noi. Stranamente, in questa vigna, pianta anche un fico. Dico che è strano perché il fico di per se non si pianta, nasce spontaneo. Addirittura se toglie terreno alla vigna, si cerca di sradicarlo.

E' una pianta che non ha bisogno di niente e nessuno, lussureggiante, dannosa e dispettosa. Può crescere dappertutto anche in cima ad un muro o tra i rovi. Pertanto non ha certo bisogno di essere zappata o concimata. Se non produce frutti è solo per pigrizia, perché è troppo sicura di sé.

Chiediamoci: chi sono io in questa vigna? Tralcio o fico? Notiamo che Dio non ha paura di piantare l'uno e l'altro nella sua vigna.

La pedagogia di Gesù ci ricorda che sia la vigna come il fico sono piante da frutto e come tali devono fare frutto. È possibile che Gesù, sottolineando questi aspetti strani, mi ricordi che molte volte anche la mia vita di cristiano è strana?

Il fico è pianta lussureggiante. Non è che nel voler essere una bella pianta (appunto un bel fico: espressione gergale giovanile abbastanza efficace!), con tutti i rami dritti, paralleli, perfetti, a posto… e con tutte le foglie tirate a lucido rischio di spendere lì tutte le mie forze ed energie e, alla fine, non produco neanche un frutto? Non è che nella mia vita, per pigrizia o per troppa sicurezza, mi fermo alle foglie di fico e non ai frutti?

Ancora una “stranezza evangelica”… ma non da poco! Se noi potessimo giudicare i “fichi pigri” (che poi sono sempre gli altri e mai noi stessi), probabilmente non smetteremmo mai di fare i boscaioli che tagliano, tagliano… Gesù ci dice che è disposto persino a fare un lavoro inutile come zappare e concimare un fico (dicevamo prima: non serve!) purchè io porti frutti… e mi salvi!

Conclusione: Gesù-vignaiolo si mette lì, a zappettare e concimare il terreno per il fico, dandogli il suo tempo e la sua vita, la sua carne e il suo sangue, mentre io considererei molto più utile dargli un colpo d’ascia…

Ma se mi accorgessi che quel fico sono io?

Marco Daniele

IL SANTO DELLA SETTIMANA

Fonte: IL POPOLO

Il 2 marzo la Chiesa ricorda la figura di S. Angela della Croce (Ángela de la Cruz) che nacque a Siviglia il 30 gennaio 1846 in una famiglia povera.

I suoi genitori, Francisco Guerrero e Josefa González, ebbero 14 figli di cui, però, solo 6 raggiunsero la maggiore età.

Angela dovette abbandonare presto la scuola per aiutare la famiglia.

Trovato lavoro presso un calzaturificio, la sua pietà non comune fu rilevata dalla maestra del laboratorio, che ne informò padre Torres Padilla, noto a Siviglia per la fama di santo. Le sue aspirazioni furono orientate verso l’apostolato.

Pensò di essere chiamata da Dio ad una vita di perfezione tra le Carmelitane scalze di Siviglia, dove non fu accettata a motivo della gracilità della sua salute.

Compì più tardi un altro tentativo presso le suore di vita attiva, le Figlie della Carità, dove fece anche il noviziato e vestì l’abito religioso: però ancora una volta la cagionevole salute la costrinse a lasciare il convento.

Decise allora di vivere come suora fuori del convento.

Nel 1871, con un atto privato promise al Signore di vivere secondo i consigli evangelici.

Nella sua esperienza di preghiera vide una croce vuota davanti a quella di Cristo crocifisso e ricevette l’ispirazione di immolarsi insieme a Lui per la salvezza delle anime.

Padre Torres, nel 1875, chiese ad Angela di lasciare il laboratorio di pantofole per dedicarsi, con alcune compagne che si erano unite a lei, a stendere una regola e a trovare una casa per una vera e propria comunità.

Il 2 agosto 1875 ebbe inizio l’Isti-tuto delle Sorelle della Compagnia della Croce (Las Hermanas de la Compañía de la Cruz) che si sarebbe distinto per il servizio a Dio nei fratelli più poveri.

“Farsi povero con il povero per portarlo a Cristo”: questo motto costituì il fondamento della spiritualità e della missione della Com-pagnia della Croce, che venne eretta in congregazione di diritto diocesano, con decreto dell’arcivescovo di Siviglia, il 3 aprile 1876.

La congregazione ottenne il pontificio decreto di lode il 10 dicembre 1898; il 25 giugno 1904 venne approvata definitivamente dalla Santa Sede (le sue costituzioni il 14 luglio 1908).

Durante l’epidemia del 1876, An-gela de la Cruz, questo il nome che prese quando diventò una religiosa, insieme con le consorelle, diede prova di eroismo. 

La sua dedizione per i poveri e gli ammalati non conobbe confini né misura.

Dalla sapienza della Croce attinse quella forza che le permise di testimoniare Cristo fino ai più alti gradi della perfezione.

Seppe infondere nell’animo delle sue figlie un crescente spirito di dedizione e di carità verso i bisognosi.

Angela fu una donna energica e umile, fu ammirata da tutti e chiamata dal popolo “madre dei poveri”, disprezzò ogni gloria umana e ricercò la più completa umiliazione, non tenne per sé alcun privilegio che non riservasse anche ai poveri, che ella era solita chiamare suoi padroni e servire in tutto.

Morì nella città dove era nata, all’età di 86 anni, il 2 marzo 1932.

Suor Angela fu beatificata a Siviglia il 5 novembre 1982 e poi canonizzata, da Giovanni Paolo II il 4 maggio 2003 a Madrid. Suor Angela si crocifisse totalmente con Cristo in una immolazione assoluta della propria intelligenza, della propria volontà e di tutto il suo essere e assaporò l’abbandono totale di Cristo sulla Croce nella propria carne e, ancor più, nella propria anima.

Ebbe una profonda vita interiore,  secondo quello che si può venire a conoscere dai suoi scritti.

Il suo Istituto oggi conta 800 suore con 54 case in Spagna, due nelle isole Canarie, due in Italia (a Roma e a Reggio Calabria) e due in Argentina.

Data: 01/03/2013



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