Venerdì, 29 Marzo 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

LA SETTIMANA IVª DI QUARESIMA

LA SETTIMANA IVª DI QUARESIMA

LA PAROLA DEL VESCOVO

 Commento del Vangelo  in collaborazione con la Radio della Diocesi di Tortona. Clicca qui per ascoltare.

PRIMA LETTURA

Dal libro di Giosuè
In quei giorni, il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto». 
Gli Israeliti rimasero accampati a Gàlgala e celebrarono la Pasqua al quattordici del mese, alla sera, nelle steppe di Gerico. 
Il giorno dopo la Pasqua mangiarono i prodotti della terra, àzzimi e frumento abbrustolito in quello stesso giorno. 
E a partire dal giorno seguente, come ebbero mangiato i prodotti della terra, la manna cessò. Gli Israeliti non ebbero più manna; quell’anno mangiarono i frutti della terra di Canaan.

SALMO RESPONSORIALE

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.
Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. 
In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. 
Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

IL COMMENTO

Fonte: IL POPOLO

Il capitolo 15 di Luca è descritto come “il Vangelo della misericordia”, una sorta di Vangelo nel Vangelo! Prima di arrivare all’aspetto della misericordia del Padre, però, possiamo dare al brano anche una chiave di lettura “eucaristica”. Qualche commentatore la titola “la parabola della tavola della festa”.

Prima di analizzare i singoli protagonisti, evidenziamo tre loro attitudini.

Il padre è motivato a imbandire quella tavola. Il figlio minore non pensa affatto a quella tavola. Il figlio maggiore non immagina neppure quella tavola: a lui basta un capretto! E ancora: il figlio minore pensa ai servi (trattami come loro); il maggiore pensa agli amici… Nessuno pensa di mangiare né con il padre né con l’altro fratello.

Ecco declinata la prima verifica: le nostre eucaristie sono un incontro con il Padre e con i fratelli?

Analizziamo ora i soggetti.

IL PADRE

È sempre al centro del racconto. Lo è anche nella mia vita? Il Padre ha avuto successo con me? L’ho riconosciuto? L’ho incontrato?

Al Padre interessano solo i figli e non le cose materiali (il minore le sperpera, il maggiore le accumula). Esso guarda il cuore e vede nel figlio minore un fuggitivo e nel maggiore un “casalingo arrabbiato”.

Gesù evidenzia che il padre mantiene sempre lo stesso approccio e non si impone ai figli. Di contro i figli non sanno chi è il loro padre: uno pretende il perdono e di lavorare come un servo, l’altro vede un padrone. Contrariamente al dire comune non il figlio bensì il padre è davvero prodigo, spendaccione e senza misura! Proprio come Dio con noi: non ha misura (cfr la fretta messa ai servi; un amore e un perdono senza misura; quella festa senza misura). Addirittura “butta” anche la sua dignità: esce a pregare il maggiore e di fronte alle sue proteste gli apre il cuore. E’ un padre prodigo ma non distratto ed è prodigo proprio perché si rende conto del vuoto che c’è nei figli: per lui sono perduti entrambi perché non hanno conosciuto il suo cuore!

Il FIGLIO MINORE

Ha voglia di indipendenza quindi il padre è di ingombro. Non sa assaporare le ricchezze della casa e nel chiedere la sua parte dichiara al padre che per lui è come se fosse già morto!

L’evangelista Luca utilizza sempre la progressività per descrivere sia il degrado sia la rinascita.
C’è un crescendo di miserie: dal restare solo ai porci.
Il figlio minore conosce il castigo che non è dato dal padre (il Signore non punisce mai!) ma è il prezzo del suo peccato! Il male compiuto contiene in se la punizione (pena e colpa).
C’è poi un crescendo di rinascita: “rientra in se stesso”. Dal contatto interiore ritrova la memoria della casa paterna.

IL FIGLIO MAGGIORE

Da dove arriva la sua rabbia? L’elemento scatenante è la musica e la danza.
Rabbia frutto di un giudizio: pensa di subire un torto dal padre e passa da vittima ad aguzzino.

Chiede: A cosa serve essere fedeli se poi i più birichini fanno più strada?
Il figlio maggiore vede la casa come non memoria , come prigione!

Lui è rimasto in casa non da figlio ma da servo.
E l’aspetto più duro è proprio il rimprovero al padre.

Il maggiore ci descrive come si può essere nella casa (cioè nella comunità) ma di fatto esserne altrettanto fuori, distanti. Questo figlio ci interpella così: “noi proviamo rabbia nei confronti di Dio? Come entriamo nelle nostre eucaristie?

Conclusione: in noi albergano entrambi i figli ma, per grazia, abbiamo lo stesso Padre!

Dio ci cerca, prende lui l'iniziativa e ci ama, senza giudicarci. Noi cerchiamo colui che ci cerca.
L'amore di Dio precede la nostra conversione. Dio non ci ama poiché siamo buoni ma, amandoci, ci rende buoni.
Gesù non chiede: dona, senza condizioni. Dio precede la nostra conversione, la suscita, ci perdona prima del pentimento, e il suo perdono ci converte: è talmente inaudita e inattesa la salvezza, che ci porta a conversione.

Davvero “siate misericordiosi come misericordioso è il Padre vostro”.

Marco Daniele

IL SANTO DELLA SETTIMANA

Fonte: IL POPOLO

La Chiesa il 7 marzo fa memoria di S. Teresa Margherita Redi. Nacque ad Arezzo dalla nobile famiglia Redi, il 15 luglio 1747, vigilia della festa della Madonna del Carmelo.

Era la seconda di tredici figli e crebbe in un ambiente familiare profondamente cristiano. All’età di sei anni già domandava a chiunque fosse in grado di risponderle: “ditemi, chi è questo Dio?”.

Amava ritirarsi nella sua stanza per pregare ed ammirare i suoi “santini”. All’età di nove anni fu mandata a Firenze, con la sorella Eleonora Caterina, nel monastero benedettino di S. Apollonia, dove ricevette la formazione scolastica e spirituale. Il suo maggior confidente in quegli anni fu il padre, Ignazio Maria Redi, uomo illuminato e religioso. Tra i due iniziò un intenso rapporto epistolare, andato purtroppo quasi interamente perduto. Dopo aver letto la vita di S. Margherita Maria Alacoque nacque in lei una grande devozione al Sacro Cuore. Rientrata in famiglia, manifestò la sua vocazione al Carmelo e il 1 settembre 1764 entrò nel monastero di “S. Teresa” a Firenze, dove vestì l’abito carmelitano l’11 marzo 1765, col nome di Teresa Margherita del Sacro Cuore di Gesù. L’Ordine Carmelitano la festeggia il 1 settembre, giorno che ricorda il suo ingresso nel Carmelo.

La sua vita fu spoglia di avvenimenti straordinari, ma fu ricca di fede divenuta esperienza contemplativa, fu una vita accesa e consumata dalle sete di amare Dio. Dentro al Carmelo la santa trovò i mezzi più adeguati per realizzare la sua vocazione contemplativa. La totale obbedienza, lo spirito di spogliamento e di distacco, la purezza e la generosità delle consorelle la riempirono di ammirazione e di rispetto, tanto da ritenersi indegna di vivere in mezzo a loro. Da questa profonda umiltà derivò il bisogno di mettersi al di sotto di tutte, di farsi la piccola serva di tutte. La sua gioia più grande fu quella di abitare nella “Casa” di Gesù. I suoi tratti peculiari furono il costante nascondimento, l’obbedienza totale, lo spirito di povertà e, soprattutto, la fedeltà “a costo di qualunque ripugnanza. Domenica 28 giugno 1767, mentre era in coro per l’Ora di Terza, sentì dalla lettura breve: “Deus Charitas est et qui manet in charitate, in Deo manet” (Gv. 1 4,16). Un sentimento soprannaturale la pervase e per più giorni rimase scossa. Donò il suo cuore a Cristo, offrendosi per essere consumata dal suo amore. Chiese al confessore il permesso di fare l’offerta della Alacoque: porre la propria volontà nella piaga del costato di Cristo ed entrare nel suo Cuore.

Si sentiva però piccola e la sua più grande preoccupazione era di non amare abbastanza. L’amore a Dio si concretizzò nella mansione di aiuto infermiera che esercitò con straordinaria. Di lei possediamo pochi scritti: alcune lettere, vari biglietti che amava dare alle consorelle con pensieri e massime, i propositi per gli esercizi del 1768 e un altro breve proposito. Ebbe molto cara anche la lettura delle opere della Santa Madre Teresa e il suo invito a far posto a Dio col silenzio interiore.

Fece celebrare, per la prima volta, la festa del Sacro Cuore nella sua comunità.

Morì ad appena 22 anni a causa di una peritonite fulminea, dopo diciotto ore di atroci sofferenze, il 7 marzo 1770. Fu canonizzata il 19 marzo 1934, da Pio XI che la definì “neve ardente”. Secondo il racconto degli agiografi, a poche ore dalla morte il corpo cominciò a emanare un odore gradevole e non mostrò segni di decomposizione.

Il corpo tutt’ora incorrotto, riposa in una cappella della chiesa del Monastero delle Carmelitane Scalze a Firenze.

 

Data: 06/03/2013



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