Giovedì, 28 Marzo 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO

LA PAROLA DEL VESCOVO 

Commento del Vangelo  in collaborazione con la Radio della Diocesi di Tortona. Clicca qui per ascoltare.

PRIMA LETTURA

Dal libro della Gènesi
In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.

SALMO RESPONSORIALE

Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».

Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!

A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato.

Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek».

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

IL COMMENTO

Insieme al Giovedì Santo, la liturgia ci offre un’altra grande giornata per meditare e pregare sul grande dono dell’Eucaristia. Il Vangelo ci accompagna con il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci.

1. Nel deserto dove Gesù predica e guarisce i malati, non manca solo il pane! Le parole del Vangelo, infatti, non raccontano solo il prodigio di Gesù che riesce a sfamare tutti partendo da pochi pani e pesci, ma mettono bene in evidenza anche la mancanza di fiducia dei suoi più stretti collaboratori, i dodici. I discepoli partono da una constatazione molto pratica e logica: con cinque pani e due pesci come si fa a organizzare un pasto per così tante persone? Ecco quel che manca veramente in quel deserto: la fiducia. E questa mancanza rischia di far fallire la predicazione e l'azione di Gesù.

Credo che Gesù sia rimasto amareggiato di questo. Gli amici che lo seguono da tempo, che dovrebbero conoscere bene i suoi insegnamenti e che sicuramente hanno visto un “sacco” di miracoli, ancora non credono e sono prigionieri del loro senso pratico e del calcolo umano. “Non abbiamo che cinque pani…”.

Siamo forse così anche noi oggi? Andiamo magari a Messa ogni domenica e partecipiamo alla proclamazione delle parole del Signore e alla preghiera eucaristica che fa diventare il pane e il vino in Corpo e Sangue di Gesù. E a tutto questo diciamo "Amen", cioè "Sì, ci credo, lo voglio..."

Poi usciamo di chiesa e rivestiamo gli stessi abiti degli altri che non si nutrono di Parola e di Pane di vita. Anzi, forse siamo anche noi molto cinici. Pensiamo che i nostri problemi siano irrisolvibili e ci lamentiamo di tutto. Abbiamo pregato e abbiamo fatto la Comunione, e poi nella vita di ogni giorno ci sentiamo soli e non mostriamo un minimo di fiducia nella presenza del Signore. E chi ci incontra si domanda se veramente crediamo che il Signore è con noi.

Ecco dunque l'impegno che deve nascere dal partecipare alla Messa, quando celebriamo il Corpo e Sangue del Signore: abbandoniamoci di più alla Provvidenza e fidiamoci un po' di più del Signore. Cerchiamo di togliere un po' il senso del calcolo in tutto ciò che facciamo. Non abbiamo paura di dare il nostro tempo per aiutare qualcuno anche se ci sembra di averne poco. Non calcoliamo i centesimi quando diamo qualcosa… Proviamo davvero a fidarci un po' di più della Provvidenza e a diventare noi stessi strumenti della Provvidenza. Gesù non ci trovi con le mani occupate a trattenere quel poco che abbiamo come se tutto dipendesse da questo, ma ci trovi liberi e disponibili a distribuire con lui il “suo” pane d'amore.

2. Ricordo con grande commozione la processione che si faceva in questo giorno nei nostri paesi qualche decennio fa. C’era un clima di preghiera, di rispetto; i piccoli gettavano petali e fiori al passaggio del Corpo di Gesù. Era Lui che passava per le nostre strade, che veniva a visitare i nostri paesi per ricordare a tutti la Sua presenza. Oggi invece, dove ancora passa la processione, è facile incrociare persone (magari sedute ai tavolini di un bar) che hanno dimenticato la Sua presenza e vivono come se niente fosse.

Penso alle tante chiese, disseminate nei nostri territori: altro segno della Sua presenza. I Santi (es.: Don Bosco) e i pastori (es.: il nostro Vescovo) invitano ad andare a visitare Gesù in chiesa! “Quando ti capita di girare e ti imbatti in una chiesa, entra a far visita a Gesù, a stare un poco con Lui, a tenerGli compagnia”. Quante chiese… vuote! Ma Gesù non se ne va, rimane lì e ci aspetta!

Concludo con la testimonianza di Federica, dipendente ONU in Liberia, letta recentemente: “Io qui devo fare alcune ore di jeep per andare a Messa (quando arriva il missionario!), con tanti pericoli per il cattivo stato delle strade. Ricordo che quando ero a Pechino dovevo andare all’ambasciata del Canada, un’ora prima della Messa, perché c’erano solo 150 posti e dovevano controllare il passaporto. Eppure quale gioia poter vivere la Messa! Dovete dire ai giovani italiani, che hanno la fortuna di avere tanti sacerdoti e tantissime chiese, di non mancare a questo appuntamento! E’ tradire l’amicizia con Gesù, è non riconoscere tutto quello che Lui ha fatto per noi”.

Ci proviamo insieme?

Marco Daniele

IL SANTO DELLA SETTIMANA

Domani, 31 maggio, la Chiesa ricorda santa Camilla Battista da Varano, canonizzata il 17 ottobre 2010 da Benedetto XVI. Camilla nacque a Camerino il 9 aprile 1458.

Suo padre, Giulio Cesare da Vara-no, fu duca di Camerino. Tipico signore rinascimentale aveva combattuto per vari papi e in diverse città italiane, e per mezzo di una politica di matrimoni si era imparentato con le principali dinastie regnanti.

Giulio Cesare si sposò con Giovanna Malatesta ed ebbe tre figli da lei, e almeno sei figli naturali da diverse altre donne. Questi comportamenti nelle famiglie signorili erano ritenuti normali o comunque erano accettati senza scandalo. Camilla era la figlia naturale della nobildonna Cecchi-na di mastro Giacomo, ma fu introdotta ed educata nello splendore della corte. Studiò il latino, legge i classici, impara a dipingere, a suonare e a ballare. Crebbe vivace ed esuberante, immersa nel pullulare della vita di corte. Aveva un temperamento schietto e volitivo, indipendente e testardo, amante del bello e del piacere.

Nei disegni di suo padre, Camilla era destinata a un matrimonio di nobile convenienza, ma le cose non andarono così. A circa dieci anni fece il proposito  particola di “versare almeno una lacrimuccia” ogni venerdì in memoria della passione del Signore. Da quella decisone giunse, poi, una volta adulta alla scelta definitiva, combattuta fino all’ultimo, di un sì alla chiamata nella vita religiosa, dalla quale, all’inizio, non fu molto attratta. Nel novembre 1481, superate le difficoltà frapposte dal padre, entrò nel monastero di S. Chiara d’Urbino, uno dei luoghi più rappresentativi del movimento dell’Osservanza. La volontà di vivere la regola di S. Chiara in tutta la sua radicalità evangelica fu elemento costitutivo della sua chiamata. Il 4 gennaio 1484, fatta la sua professione religiosa con il nome di suor Battista, insieme ad altre otto Sorelle di Urbino fece ingresso nel nuovo monastero di Camerino, fatto costruire da suo padre. Nel 1501 il papa Alessandro VI Borgia scomunicò suo padre Giulio Cesare da Varano, per ragioni finanziarie, privandolo di tutti i suoi diritti di feudo e di Signoria. Cesare Borgia, figlio di Alessandro, combattè contro Camerino per assoggettare il suo territorio al patrimonio della Chi-esa.

Giulio Cesare da Varano fu dapprima imprigionato e quindi fu fatto strangolare, nella fortezza della Pergola. Poi, a Cattolica furono uccisi crudelmente i tre fratelli di suor Battista.

Si era messo in salvo a Venezia solo il fratello minore Giovanni Maria. Anche per suor Battista iniziò l’ora dell’esilio. Dovette andarsene perchè la sua presenza in monastero metteva in pericolo la vita delle consorelle. S’incamminò  alla volta di Fermo, ma i signori della cittadina temendo le rappresaglie del Valentino, non la ricevettero. Andando “come pellegrina e forestiera” si rifugiò ad Atri.

Nel 1503 suor Battista tornò a Ca-merino, dove la sua famiglia ormai era quasi sterminata. Il fratello superstite, Giovanni Maria, venne reintegrato da papa Giulio II a capo dello Stato di Camerino.

Nel 1505 papa Giulio II la inviò a fondare un monastero di clarisse a Fermo, e negli anni 1521-22 si recò a San Severino Marche, per formare le clarisse locali che avevano assunto in quel periodo la Regola di S. Chiara. Morì il 31 maggio 1524, durante un’epidemia di peste.

Lasciò scritti di alto valore mistico.

I 22 opuscoli che la beata scrisse per ordine dei superiori, costituiscono, secondo il parere dei critici, “le pagine più profonde e potenti della letteratura religiosa italiana del quattrocento”. La sua massima e regola di vita era: “Fare il bene e patire il male e patirlo non da soli, ma con Gesù sulla croce”. Gregorio XVI nel 1843 la dichiarò beata.

Le sue spoglie sono custodite ed esposte al culto nella cripta a lei dedicata nella chiesa del monastero di Camerino. I suoi scritti contribuirono alla formazione spirituale e intellettuale di persone come il cardinale Newman e Giorgio La Pira.

APPROFONDIMENTI

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Data: 25/05/2013

Data: 29/05/2013



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