Martedì, 16 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA

Dal libro della Gènesi
In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

SALMO RESPONSORIALE

Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore, 
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

SECONDA LETTURA

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa. 
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi. 
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. 
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

 

IL SANTO DELLA SETTIMANA 

Il santo che la Chiesa ricorda il 21 luglio è un martire missionario, canonizzato, da Giovanni Paolo II, nel gruppo di 120 beati martiri in Cina e Vietnam il 1° ottobre 2000. Si chiama Alberico Crescitelli e morì subendo il martirio in Cina, il 21 luglio 1900, durante la rivolta dei Boxers. Nacque ad Altavilla Irpina, in provincia di Avellino, il 30 giugno 1863, quarto di undici figli, da un farmacista di nome Beniamino e da Degna Bruno, una donna di grande fede che restò sempre per il figlio una confidente spirituale. Da ragazzo il padre lo incaricò di controllare dei fondi agricoli di loro proprietà. Questa attività contribuì a dargli una competenza in cose agricole e una disposizione alle scienze naturali. Fu mandato a scuola da un prete e grazie alla guida di quest’uomo Aleberico maturò la vocazione sacerdotale. A quindici anni fu indirizzato al seminario dei S.S. Apostoli Pietro e Paolo, iniziato a Roma nel 1871 e incorporato nel 1926 da Pio XI all’attuale Pontificio Istituto delle Missioni Estere (PIME). Entrò l’8 novembre 1880 a 17 anni. Durate i sette anni da lui trascorsi in seminario, studiò filosofia all'Archiginnasio Gregoriano, e teologia alla Pontificia Università Lateranense, nell'antica sede di Sant'Apollinare, e alla Gregoriana, conseguendo con onore i gradi accademici. Nel frattempo perse il padre e una sorella a causa di un terremoto, nel 188. Fu ordinato sacerdote nella basilica lateranense il 4 giugno 1887. Celebrò la Prima Messa nella Cappella dell’Istituto Missionario, assistito da mons. Gregorio Antonucci, poi eletto Vicario Apostolico in Cina nello Shensi meridionale. 
I suoi superiori ritenendolo preparato per l’apostolato missionario, ne disposero la partenza per l’autunno, concedendogli prima un periodo di riposo nel paese natio. 
Arrivato ad Altavilla Irpina il 10 luglio 1887, trascorse un paio di mesi fra la sua gente. 
Quando il 12 settembre scoppiò ad Altavilla Irpina una terribile epidemia di colera, Alberico, con il permesso dei superiori, prestò opera di assistenza, essendo il Comune di Altavilla il paese più colpito dall’epidemia, che, dal 13 settembre al 20 ottobre 1887, colpì 275 persone. Il Ministro degli Interni dell’epoca, il 23 novembre 1889 gli conferì anche la medaglia di bronzo, come benemerito della pubblica salute. Il 31 ottobre padre Alberico lasciò i familiari e partì per Roma, dove gli fu assegnata la meta della sua missione in Cina. L’8 aprile 1888, insieme a padre Vincenzo Colli partì da Marsiglia sul piroscafo Sindh alla volta di Shanghai. Durante il viaggio, che si protrasse per trentasei giorni, scrisse molte lettere ai familiari e ai superiori, dalle quali affiora costantemente lo spirito suo missionario. Appena giunto in Cina, cercò di adattarsi al modo di vestire e di vivere del popolo. Per farsi cinesi tra i cinesi, lui e il compagno missionari  furono rasati a zero tranne un ciuffo in mezzo alla nuca. Padre Alberico per non sembrare ridicolo portò sempre un cappellino aderente, provvisto di una treccina posticcia.
 Per raggiungere la missione dello Shensi dovette affrontare un altro lungo viaggio di circa 2.000 chilometri sul fiume Han, sopra una barca e con un viaggio veramente disagevole. Quel viaggio durò ottantun giorni e finì il 18 agosto 1888. Quando terminò scrisse alla madre: “ Credo che senza l’aiuto del Signore non avremmo potuto giungere qui sani; ma Egli ci ha usato misericordia e ci ha salvati, perché ci siamo affidati a Lui”.
 Il Vicariato dello Shensi meridionale abbracciava un’estensione di 89.000 Km. con una popolazione di 5.000.000 di abitanti. I fedeli ammontavano a ottomila ed erano distribuiti in cinquantadue cristianità. Alberico trascorse alcuni mesi ad Hachung, città dove i missionari avevano una residenza, per addestrarsi nella lingua, particolarmente ostica per lui. 
Poi intraprese la sua attività missionaria visitando le comunità cristiane disseminate lungo il fiume Han, spingendosi ad Ovest verso Mienhsien e ad est fino a Han-yang-pin, dove edificò una chiesa. Notevole era il suo spirito di sacrificio e di distacco dal mondo. 
Pensò di avvalersi delle sue competenze in agricoltura, formando delle colonie agricole, con lo scopo anche di riunire i cristiani troppo dispersi nel territorio. Nel gennaio 1900 gli furono affidati i distretti di Mienhsien, Lioyang. Non limitò le fatiche ai cristiani affidati alle sue cure, ma si diede a fare dei catecumeni e dei cristiani, anche se le conversioni erano difficilissime a causa dell’indifferenza generale. Il santo era considerato un vero modello del fervente missionario. Notevole era il suo spirito di sacrificio e di distacco dal mondo. Possedeva anche un grande senso di adattamento. Dalle sue lettere traspira sempre una serena tranquillità anche in mezzo alle fatiche apostoliche. 
Per tutti i dodici anni di vita missionaria il beato godette sempre di un’ottima salute fisica, che lo spingeva a moltiplicare le iniziative per la conversione dei cinesi. Poco tempo prima del martirio, nei distretti affidatigli, riuscì a convertire 560 persone, appartenenti a 168 famiglie diverse.
 Purtroppo, però, le conversioni furono ostacolate dalla cosiddetta rivoluzione dei Boxers, una società segreta cinese, sorta nello Shantung per opporsi ad ogni infiltrazione politica e culturale europea. Nel mese di maggio 1899 ebbero inizio i primi atti di barbara violenza contro i cinesi convertiti al cristianesimo e contro le missioni cattoliche. L’ultimo distretto che gli fu affidato fu quello di Ningqiang, un posto selvaggio, tra i monti solcati da torrenti e strette valli, dove la maggior parte della popolazione era costituita da discendenti di condannati ai lavori forzati e all’esilio a causa dei delitti commessi e quando vi giunse vi era anche una terribile carestia.
 Il governo cinese per sopperire alle necessità del popolo, aveva fatto delle elargizioni, ma alcuni mandarini del suo distretto avevano escluso i cristiani dalle distribuzioni di grano e riso perché avevano aderito alla religione degli stranieri. Il santo protestò contro quella ingiustizia, ottenne soddisfazione, ma i suoi nemici giurarono di ucciderlo, forti del decreto imperiale del 1° luglio 1900 che autorizzava lo sterminio degli europei e dei cristiani. Padre Cresciteli rifiutò di mettersi in salvo nella vicina provincia di Sechwan. Solo nel pomeriggio del 20 luglio 1900, in seguito alle suppliche dei suoi fedeli decise di fuggire. Lungo il cammino dovette fermarsi davanti all’edificio della dogana, dove si riscuotevano le tasse per l’attraversamento dei fiumi sui confini. 
Il doganiere di nome Jao che l’aveva riconosciuto, con fare gentile e premuroso lo convinse a rimanere al sicuro nel piccolo edificio, perché la strada non era sicura e certamente sarebbe stato assalito. Padre Alberico prima accondiscese, poi ebbe la sensazione di un tradimento, ma il doganiere con insistenza lo fece rimanere. 
Verso le undici di notte mentre pregava in un angolo, l’edificio isolato fu accerchiato da un gruppo di uomini che volevano ucciderlo e il doganiere facendo finta di essere rammaricato, gli indicò come unica possibile via di fuga la porta sul retro, dalla quale lo fece uscire, richiudendola alle sue spalle. Appena fuori il missionario fu circondato e mentre pregava in ginocchio e parlava loro chiedendo perché facevano questo a lui, che aveva fatto solo del bene, fu colpito da vari fendenti, uno sulla fronte la cui pelle staccatasi ricadde sugli occhi, un altro gli staccò quasi un braccio e un altro lo ferì al naso e alle labbra. Lo presero poi come una bestia, attaccato con le mani e i piedi ad una grossa canna e a spalle lo portarono su un banco del mercato, dove proseguirono i tormenti sul suo corpo. Mentre era ormai moribondo, all’alba del 21 luglio, gli legarono le caviglie con una corda e lo trascinarono vicino al fiume, dove usarono una lunga sega per decapitarlo. Il suo corpo fatto a pezzi fu gettato nel fiume.
Il beato si diresse allora alla dogana per prendere la via dei monti, ma ne fu astutamente sconsigliato dal capo con il pretesto che centinaia di uomini vi erano appostati per ucciderlo. Nel frattempo egli fece avvertire gli organizzatori della congiura della presenza del missionario nel suo ufficio. Costoro accorsero alla dogana con una folla armata di fiaccole, bastoni e coltelli. A gran voce reclamava il prete europeo. Il capo della dogana disse allora al ricercato: "Vedi quanta gente si è radunata qui contro di te? Mi è impossibile difenderti; l'unica via di scampo è quella porta segreta che vedi là, in fondo, che mette sul monte". Nel dire così lo spinse fuori e chiuse la porta.
La folla, furente, circondò immediatamente il missionario che si inginocchiò per terra e pregò. Poi si alzò e disse: "Perché fate così? Che male vi ho fatto? Se avete qualche cosa da dirmi, parlate, se avete qualche cosa da farmi, conducetemi dalle autorità". Non aveva ancora finito il suo dire che uno dei presenti con un colpo di spada gli staccò quasi il braccio sinistro dal tronco, mentre altri lo trafiggevano con coltelli infilati in canne di bambù. Il beato, grondante sangue, fu poi trasportato sulla piazza del mercato, sospeso mani e piedi a un grosso palo. Per tutta la notte rimase esposto ai furori della plebaglia. In mezzo ai tormenti non gli uscì di bocca una sola parola di risentimento o di rimprovero. Quando riprendeva i sensi non faceva altro che pregare sommessamente.
Nella mattinata del 21 luglio il Crescitelli fu condannato a morte e quindi trascinato, agonizzante, sulla sponda del fiume, con una corda legata ai piedi. Il carnefice con un coltellaccio usato per tagliare il foraggio lo colpì ripetutamente al collo nel tentativo di decapitarlo, ma non essendovi riuscito, lo finì servendosi di quello strumento a modo di sega. Di quella barbara azione fu ricompensato con il cavallo del missionario. Il corpo del martire fu fatto a pezzi e gettato nel fiume. Nel 1904, mentre si parlava di un altro eccidio di cristiani, si vide, sul posto della spiaggia dove il martire era stato ucciso, un gran numero di luci e di soldati in giubbe rosse. I settari, impauriti da quello spettacolo, desistettero dalla strage. Il Crescitelli fu beatificato da Pio XII 

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Data: 20/07/2013



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