Giovedì, 25 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Amos
Il Signore mi disse:
«Ascoltate questo,
voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese,
voi che dite: “Quando sarà passato il novilunio
e si potrà vendere il grano?
E il sabato, perché si possa smerciare il frumento,
diminuendo l’efa e aumentando il siclo
e usando bilance false,
per comprare con denaro gli indigenti
e il povero per un paio di sandali?
Venderemo anche lo scarto del grano”».
Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe:
«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere».

SALMO RESPONSORIALE

Benedetto il Signore che rialza il povero.

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
da ora e per sempre.

Su tutte le genti eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è come il Signore, nostro Dio,
che siede nell’alto
e si china a guardare
sui cieli e sulla terra?

Solleva dalla polvere il debole,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i prìncipi,
tra i prìncipi del suo popolo.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, raccomando, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. 
Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.
Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: 
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. 
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. 
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. 
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.

Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

IL COMMENTO

La scaltrezza evangelica non è la capacità di raggirare l'altro, ma l'intelligenza di saper condividere e non accumulare per sé. Una lettura un po' superficiale del Vangelo dell'odierna domenica può portare il lettore ad una rapida conclusione sbagliata: conviene essere disonesti fregando il prossimo, per di più quando è lo stesso Vangelo a sottolinearlo! Niente di tutto ciò.

Disonesto, ma scaltro: chiamato a rispondere al padrone delle sue malefatte, prevedendo di perdere il posto, l'amministratore di un'azienda agricola pensa bene di cautelarsi. "So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua". Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e chiese al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?" Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". Poi chiese a un altro: "Tu quanto devi?" Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".

Di imbroglioni è pieno il mondo, e non solo di quelli noti perché le loro trame arrivano ai giornali e telegiornali. Nulla di straordinario, dunque, in questa parabola di Gesù, se non fosse, a sorpresa, che egli continua lodando quell'amministratore disonesto, "perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne".

E' forse superfluo precisare che di quell'amministratore Gesù loda non la disonestà, ma la furbizia, di cui invece gli onesti sembrano scarseggiare. Come i "figli di questo mondo" (cioè quanti sono presi solo da cose terrene) sono scaltri nel male, non meno scaltri nel bene devono essere i "figli della luce", cioè quanti intendono orientare i propri comportamenti alla luce della fede. A loro il Maestro dice di farsi amici con la ricchezza disonesta, quegli amici che un giorno apriranno loro le porte del Cielo. Ma come si fa? Concretamente, come muoversi? La risposta emerge leggendo le tante altre pagine del vangelo dedicate a questo argomento.

Anzitutto il cristiano non deve attaccarsi ossessivamente al danaro, ai beni materiali, come se da essi dipendesse la sua vita. Nulla abbiamo portato entrando nel mondo, e nulla ne porteremo via; non possiamo poi dimenticare che delle ricchezze di cui veniamo in possesso non siamo padroni dispotici, ma amministratori, che un giorno dovranno presentare i conti. Circa le ricchezze acquisite in modo disonesto, giustizia vuole che anzitutto si restituisca il maltolto, e quando non fosse possibile vanno usate per beneficare i poveri.

Qualcuno dirà: io non ho imbrogliato nessuno; i miei guadagni sono onesti. In realtà, senza volerlo esplicitamente siamo tutti partecipi di una colossale ingiustizia: se il mondo è diviso in paesi e persone ricchi e poveri, è anche perché il mondo è basato su strutture ingiuste, che ammettono più o meno scoperte forme di sfruttamento e di oppressione. Un caso esemplare: è noto che buona parte delle ricchezze di alcuni stati derivano dallo sfruttamento delle risorse di altri. Qualche tempo fa l'opulento mondo occidentale ebbe un sussulto di coscienza, implicitamente lo ammise, e fece un gran parlare del debito pubblico che affligge i paesi del terzo mondo; riconobbe l'opportunità di condonarlo; ma dopo le chiacchiere tutto rimase come prima.

Il lettore potrà obiettare: che c'entro io? Non l'ho voluto io, quello sfruttamento, né posso io rimettere i debiti degli stati. Obiezione fondata, da parte di chi non detiene il potere politico; ma resta il fatto che di quelle ingiustizie molti di noi godono i frutti. E dunque, anche per questa ragione un cristiano deve farsi sensibile verso gli indigenti, siano essi tra noi o dall'altra parte del mondo: quello che diamo loro, a ben guardare è soltanto una parziale restituzione. Anche così si apriranno per noi "le dimore eterne".

IL SANTO DELLA SETTIMANA 

1/SEmilia.JPGSanta Emilia Maria Guglielma de Rodat è una santa francese che la Chiesa ricorda il 19 settembre, fondatrice delle suore della Sacra Famiglia (Soeurs de la Sainte Famille de Villefranche). Nacque il 6 settembre 1787 nel castello di Druelle, vicino a Rodez, nel sud della Fran-cia, figlia primogenita di una famiglia appartenente all’antica nobiltà del Rouergue. Quando aveva solo due anni scoppiò la Rivoluzione Francese e la bimba fu affidata alle cure della nonna materna che viveva nell’appartato castello di Ginals, nei pressi di Villefranche de Rouer-gue, lontana dagli sconvolgimenti politici e culturali di quel momento storico. Dalla nonna la santa ricevette un’attenta educazione religiosa, grazie anche ad una zia monaca visitandina, che era dovuta tornare a casa, a causa delle soppressioni religiose. Crebbe in un ambiente agiato e con un carattere vivace e ben presto capì di voler dedicare la propria vita al Signore. A undici anni fece la prima comunione, in modo semiclandestino visto il periodo di terrore. Nel 1802, quando la santa aveva 15 anni, tutte le chiese di Francia furono riaperte al culto e cominciò un nuovo periodo di apostolato. Gli Ordini e le Congregazioni ricominciarono il loro cammino ed Emilia  a 17 anni, nella festa del Corpus Domini del 1804, decise di farsi suora. Compiuti i diciotto anni, iniziò a collaborare con le suore di Saint Cyr di Villefranche, presso cui aveva studiato. Quell’istituto, però, era gestito da religiose di differenti congregazioni, soppresse durante la Rivoluzione, che si erano ritrovate insieme e che quindi non seguivano un’unica Regola ed erano già in età avanzata. In quel periodo conobbe l’abate Antonio Marty, cappellano della scuola, che per le suggerì di realizzare la propria vocazione altrove. Andò dalle Dame di Nevers a Figeac, poi a Cahor da quelle dell’Adorazione perpetua e infine dalle Suore della Carità di Moissac, ma non riuscì a decidersi tra tanti modelli di vita e tornò ogni volta a Villefranche.

Nella primavera del 1815, andando a visitare le case degli ammalati privi di assistenza e dei poveri, si rese conto di quali fossero le condizioni di vita dei loro figli condannati all’ignoranza e alla povertà e decise di fare qualcosa per loro. Aprì una scuola nella sua camera dell’Istituto St. Cyr dove ben presto ci furono più di quaranta allievi. Tre giovani donne, seguendo il suo esempio, costituirono il nucleo della futura Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia, dette di Villefran-che. L’iniziativa suscitò molta ammirazione, ma anche i malumori del clero locale. La santa, con l’aiuto dell’abate Marty, l’anno successivo aprì una scuola gratuita in un locale preso in affitto. In seguito le anziane religiose di St. Cyr lasciarono i locali della casa a lei e alle compagne che nel frattempo erano diventate otto e avevano pronunciato pubblicamente i voti religiosi. Nel 1819 Madre Rodat acquistò anche un monastero abbandonato.
La morte prematura di alcune suore e di alcune orfanelle, a causa di un’epidemia, provocò un grande scandalo intorno alla sua opera e la santa si sentì indegna di portare avanti il suo progetto e pensò di confluire nell’Ordine delle Figlie di Maria, da poco fondato.

Le sue compagne però la convinsero a proseguire nel suo cammino educativo, nonostante per lei iniziassero anche seri problemi di salute dovuti ad un tumore al naso e ad un ronzio permanente all’udito. Il suo Istituto fu chiamato a lavorare anche negli ospedali e tra i detenuti e alle sue consorelle fu sempre richiesto l’impegno della preghiera e del silenzio. L’attività fu sempre unita alla contemplazione. Madre Emilia ebbe anche l’ispirazione di fondare alcune comunità di claustrali che divennero il motore silenzioso di tutta l’opera. La santa, dal carattere forte e a tratti austero, era per tutti un punto di riferimento e con cortesia e arguzia trovava la soluzione a ogni problema.

Nell’aprile del 1852, quando il tumore al naso attaccò l’occhio sinistro, lei lasciò l’incarico di Superiora Generale. La salute peggiorò fino alla morte avvenuta il 19 settembre 1852. Il suo corpo è custodito nella Casa Madre a Villefranche.

Fu canonizzata nel 1950 da Pio XII.

APPROFONDIMENTI

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Data: 19/09/2013



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