Venerdì, 19 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Abacuc
Fino a quando, Signore, implorerò aiuto
e non ascolti,
a te alzerò il grido: «Violenza!»
e non salvi?
Perché mi fai vedere l’iniquità
e resti spettatore dell’oppressione?
Ho davanti a me rapina e violenza
e ci sono liti e si muovono contese. 
Il Signore rispose e mi disse:
«Scrivi la visione
e incidila bene sulle tavolette,
perché la si legga speditamente.
È una visione che attesta un termine,
parla di una scadenza e non mentisce;
se indugia, attendila,
perché certo verrà e non tarderà.
Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto,
mentre il giusto vivrà per la sua fede».

SALMO RESPONSORIALE

Ascoltate oggi la voce del Signore.

Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. 
Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. 
Prendi come modello i sani insegnamenti che hai udito da me con la fede e l’amore, che sono in Cristo Gesù. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». 
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

IL COMMENTO

"Aumenta la nostra fede!" dicono in coro i discepoli dopo aver ascoltato i lunghi insegnamenti di Gesù sulla povertà, sul perdono e sull'amore..."Aumenta la nostra fede!" E' un grido d'aiuto vedendo Gesù nel suo modo di vivere e operare. Si sentono come schiacciati e incapaci di essere come il Maestro e incapaci di mettere in pratica quel che lui insegna. 

 

Due temi si intrecciano nel breve brano evangelico che la liturgia ci propone questa domenica. Il primo è quello della fede, anzitutto per ricordare come, a differenza dei beni materiali che si hanno o non si hanno, il bene sommo della fede sia qualcosa di impalpabile e oscillante; va e viene secondo gli umori e le circostanze; talora risplende, guidando i pensieri e i comportamenti, ma talaltra evidentemente si oscura, se pensieri e comportamenti non sono in linea con il vangelo. Di qui la domanda formulata un giorno dagli apostoli: "Signore, accresci in noi la fede!" La desideravano più solida, più chiara, rendendosi conto che con la fede si trova in Dio la forza necessaria ad affrontare le delusioni, le avversità e ogni altra tribolazione, così come il rischio di smarrirsi tra le mille tentazioni, interne ed esterne, della vita presente; con la fede si può superare l'egoismo e vivere l'amore autentico; solo con la fede si ottiene nella vita ventura la salvezza. Perciò, quanto più la fede è solida e chiara, tanto meglio; e dunque la preghiera degli apostoli dovrebbe divenire preghiera quotidiana di tutti i cristiani, consapevoli della comune fragilità.

 

 

Il secondo tema è introdotto dalla breve parabola di un padrone esigente e insensibile, che pretende da un suo sottoposto un servizio instancabile; e si conclude con espressioni inquietanti: il padrone "avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare

 


Chiaramente quel padrone è Dio, e l'immagine che ne risulta contrasta con le innumerevoli altre espressioni di Gesù, il quale presenta Dio come un Padre, anzi il più amoroso e premuroso dei padri. Per capire, bisogna ricondursi alle concezioni religiose di coloro ai quali Gesù parlava: essi pensavano che, se un uomo osserva la Legge di Dio, Dio "deve" contraccambiare (dandogli benessere, lunga vita, vittoria sui nemici e così via). Con il suo racconto, invece, Gesù spiega che il rapporto tra Dio e l'uomo non è come quello tra un datore di lavoro e i suoi dipendenti, oggi tutelati dal sindacato e pronti a scioperare se il padrone non rispetta il contratto; né come quello tra i due contraenti di un patto, in cui uno ha il diritto di reclamare se l'altro non fa la sua parte

 

 

Il rapporto tra Dio e l'uomo somiglia piuttosto a quello tra due amici, tra due sposi, insomma tra persone che si amano e per il bene l'una dell'altra fanno tutto il possibile, senza stare a guardare l'orologio, senza sbandierarlo ai quattro venti, senza esigere medaglie di riconoscimento. 

Un impegno senza limiti e senza fine? Sì, perché non si può essere cristiani a intervalli; la fede e l'amore per Dio non possono conoscere "vacanze" durante le quali li si mette da parte, così come anche in vacanza il cuore batte, gli occhi vedono, e non si interrompe il respiro.

 

 

 

Senza poi dimenticare che vivere "come Dio comanda" è nel vero interesse dell'uomo, e se l'uomo lo può fare è perché Dio stesso gliene ha dato la possibilità: gli ha dato l'intelligenza, il tempo, le forze. In questo senso "siamo servi inutili": l'espressione non ha l'apparente senso dispregiativo; vuole soltanto affermare il primato di Dio, dal quale nulla si può esigere perché, se viviamo "secondo Dio", a bene guardare ci limitiamo a rendergli - e solo in parte - quanto egli, con sommo amore, ci ha donato. Crederlo (per poi di conseguenza viverlo) è fondamentale; di qui la domanda, degli apostoli come di ogni cristiano consapevole, "Signore, accresci in noi la fede!"

IL SANTO DELLA SETTIMANA 

Il 5 ottobre la Chiesa fa memoria di S. Anna Schäffer canonizzata un anno fa, il 21 ottobre 2012, da Papa Benedetto XVI.

Nacque in Baviera, nel villaggio di Mindelstetten, il 18 febbraio 1882 terza di otto figli in una famiglia di modeste condizioni economiche. Ricevette l’istruzione elementare nelle scuole di Mindelstett e fin da piccola cominciò a desiderare di diventare una suora per andare missionaria in terre lontane.

Nel 1894, in occasione della prima Comunione, offrì la sua vita al Sal-vatore. Compiuti i tredici anni iniziò a lavorare per guadagnare il denaro per potersi pagare la dote per entrare in qualche congregazione missionaria.

Andò a servizio a Ratisbona dove rimase fino al 1896, dopo la morte del padre, si trasferì a Landshut. Fu in quella città che nel giugno del 1898 sentì la chiamata di Gesù e nello stesso anno si consacrò a Maria. Trovò un nuovo posto di lavoro a Forsthaus zu Stammham. Il 14 febbraio 1901, a diciannove anni, accadde una disgrazia che la rese invalida per sempre. Mentre Anna si trovava nella lavanderia della casa forestale di Stammham, dove lavorava una canna fumaria stava per sfilarsi e cadere. Lei la vide e si arrampicò per rimetterla a posto, ma cadde dentro una vasca di acqua calda con lisciva, e ne riportò gravi ustioni alle gambe, fino alle ginocchia. La curarono nell’ospedale di Kosching e poi nel centro medico universitario di Erlan-gen, ma ci fu ben poco da fare contro le piaghe che l’azione corrosiva del detergente ha provocato.

Nel maggio del 1902, quando fu dimessa, il suo stato si aggravò in maniera tale da non poter più lasciare il letto. Alla grave infermità cronica si aggiunse il fatto che lei, insieme a sua madre, per contrasti con la famiglia di suo fratello, dovette lasciare la casa paterna, prendere in affitto una stanza e vivere con una pensione d’invalidità di soli nove marchi al mese. Dopo le prime ribellioni, Anna imparò, alla dura scuola della sofferenza, a riconoscere la volontà di Dio e l’accettò. Nell’invalidità e nella povertà la giovane vide la chiamata del Crocifisso. Offrì a Dio come sacrificio espiatorio, la sua vita e le sue sofferenze sviluppando uno straordinario zelo nella preghiera e nella penitenza. Riconobbe così la sua vocazione, ovvero la “missione della sofferenza”. L’infermità e la povertà si trasformarono per lei nell’amorevole invito del Crocifisso a diventare simile a lui. Offrì la sua sofferenza anche per la conversione dei peccatori.

Il parroco del paese e sua guida spirituale le portava ogni giorno la Comunione. Stilò un vero e proprio ordine del giorno, e lo riempì con la contemplazione di letture spirituali e con attività manuali, come il lavoro a maglia.

Nell’autunno del 1910 ebbe delle visioni e vide San Francesco e poi il Signore pronto ad accogliere l’offerta del suo sacrificio.

Da allora ricevette le stimmate del Cristo e si impegnò nel servizio di apostolato spirituale. Cercò sempre di consolare a voce e per iscritto tutti coloro che si rivolgevano a lei. Lettere con richiesta di preghiere le giunsero anche dall’Austria, dalla Svizzera e dall’America.

Nel giorno di San Marco del 1923, il 25 aprile, Anna rivisse, in una sorta di estasi, gli avvenimenti del Venerdì Santo e il suo stato peggiorò con la paralisi totale delle gambe, l’infiammazione al midollo spinale e il cancro al colon.

Cinque settimane prima di morire, a settembre, a seguito di una caduta dal letto, si procurò una lesione cerebrale che le compromise la voce e la vista. Il mattino del 5 ottobre 1925, “Nanni”, come la chiamavano affettuosamente, morì sussurrando “Gesù, vivo per Te”. Il suo funerale fu celebrato l’8 ottobre del 1925. La sua tomba divenne meta di tante persone e il vescovo di Ratisbona, il 26 luglio del 1972, diede il suo assenso alla traslazione delle sue ossa dal cimitero alla parrocchia di Mindelstetten.

Giovanni Paolo II, il 7 marzo 1999, la proclamò beata.

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Data: 01/10/2013



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