Giovedì, 28 Marzo 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA

Dal libro dell’Èsodo
In quei giorni, Amalèk venne a combattere contro Israele a Refidìm.
Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio». Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle.
Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole.
Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo, passandoli poi a fil di spada.

SALMO RESPONSORIALE

Il mio aiuto viene dal Signore.

Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
Il mio aiuto viene dal Signore:
egli ha fatto cielo e terra.

Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
Non si addormenterà, non prenderà sonno
il custode d’Israele.

Il Signore è il tuo custode,
il Signore è la tua ombra
e sta alla tua destra.
Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.

Il Signore ti custodirà da ogni male:
egli custodirà la tua vita.
Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, tu rimani saldo in quello che hai imparato e che credi fermamente. Conosci coloro da cui lo hai appreso e conosci le sacre Scritture fin dall’infanzia: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene mediante la fede in Cristo Gesù.
Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

IL COMMENTO

Il primo frutto della preghiera è il vivere la comunione con Dio e non ciò che viene chiesto perché, l'oggetto della preghiera, venga esaudito.

Il brano di vangelo che la liturgia ci fa ascoltare in questa ventinovesima domenica del Tempo ordinario, in cui la Chiesa celebra la Giornata Mondiale Missionaria e chiede preghiera e aiuto per i nostri missionari sparsi nel mondo, presenta "una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: In una città viveva un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario! Per un po' di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho riguardo per nessuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi. E il Signore soggiunse: Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano notte e giorno verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?"

Domanda misteriosa e inquietante, quella che chiude il brano, come inquietante è che un giudice faccia il suo dovere solo per togliersi un fastidio Ma non sta qui il tema del discorso: la breve parabola verte piuttosto sulla preghiera, anzitutto per invitare alla perseveranza: "pregare sempre, senza stancarsi mai". Par di sentire in proposito l'obiezione di molti (A che serve? Tante volte ho pregato e ripregato, ma non ho ottenuto quanto chiedevo...), accampata per giustificare il loro non pregare più.

A chi lamenta di non essere stato esaudito, danno risposta altre indicazioni di questo stesso brano evangelico. Primo, occorre pregare con fede autentica, e non è detto che la nostra sempre lo sia; talora ha il senso di un generico "proviamo anche con Dio, non si sa mai". Questa non è fede, ma superstizione; Dio non è un'opzione tra le altre, non è il tappabuchi che può risolvere quanto non si è riusciti a ottenere in altro modo: a lui ci si rivolge con la piena, incondizionata fiducia che egli è Padre, premuroso ma anche sapiente; lui sa che cosa va bene per noi, e non sarebbe un buon padre se ci desse quello che, nell'immediato o in futuro, ci sarebbe non di vantaggio ma di danno.

In altre parole - ed è la seconda indicazione offerta da questo brano evangelico - Dio "fa giustizia", cioè fa ciò che è giusto. Possiamo chiedergli quello che pare giusto a noi, ma con la fede di chi si rimette al suo giudizio, si mette nelle sue mani, accetta la sua volontà anche quando discorda dalla nostra. Così Gesù ci ha insegnato, invitandoci a chiedere nel "Padre nostro", "Sia fatta la tua volontà", e così ci ha insegnato con l'esempio, quando nell'orto degli ulivi, nell'imminenza della sua passione, ha pregato dicendo: "Padre, se possibile passi da me questo calice; però non come voglio io, ma come vuoi tu". Sublime modello! La preghiera autentica non sta nel tentare di piegare Dio al nostro volere, ma nel cercare di mettersi nella sua ottica, inserendosi nel progetto che egli ha sul mondo e su ciascun uomo, convinti che si tratta di un progetto di bene per i singoli e per l'intera umanità.

In terzo luogo: la vera piena giustizia si attuerà "quando il Figlio dell'uomo - cioè lo stesso Gesù - verrà" a prenderci da questa vita e, se ci troverà aderenti alla fede, ci trasferirà là dove tutti e per sempre sono felici di fare la volontà di Dio. La perfezione non è di questo mondo, inquinato dal male: per guarire il quale tuttavia egli ci ha dato la ricetta, riassumibile appunto nel fare la sua volontà. Se tutti gli uomini si preoccupassero di questo, ad esempio osservando i comandamenti, cadrebbero tante nostre richieste, perché non ci sarebbero più soprusi, violenza, miseria eccetera. Questo mondo non sarebbe già il paradiso, ma ci andrebbe vicino.

 

IL SANTO DELLA SETTIMANA 

Pochi mesi fa, il 12 maggio, a Roma, Papa Francesco ha canonizzato Laura Montoya, la prima santa colombiana e una delle pioniere della “missionarietà” in America Latina, la cui memoria liturgica ricorre il 21 ottobre.
Santa Laura nacque a Jericó, nel dipartimento colombiano di Antioquia, il 26 maggio 1874, da Juan de la Cruz Montoya e Dolores Upegui, genitori profondamente cristiani.
Fu battezzata solo quattro ore dopo la nascita, in tutta fretta, perché la mamma voleva prenderla in braccio solo dopo che avesse ricevuto il battesimo.
Fu perciò il parroco a scegliere per lei il nome di Maria Laura di Gesù e al papà stupito, al quale non risultava nessuna “santa Laura”, fu risposto che la bambina aveva un buon motivo per farsi santa.
A due anni suo padre fu assassinato, in una cruenta guerra fratricida per difendere la religione e la patria. Lasciò la moglie e tre figli nella povertà, a causa della confisca dei beni da parte dei suoi nemici.
La mamma le insegnò a perdonare e ogni giorno le fece recitare un “Padre nostro” per l’assassino del papà. Provò il dolore e la mancanza di affetto perché i suoi nonni la accolsero, insieme alla mamma, più per pietà che per amore.
Non andò a scuola perché la casa era troppo distante dal centro abitato e fu la mamma a insegnarle a leggere, scrivere e ad amare Dio.

L’azione dello Spirito Santo e la lettura della Sacra Scrittura, le fecero nascere nel cuore il desiderio di farsi monaca carmelitana.
All’età di 16 anni entrò nella “Normale de Institutoras” di Medellín, per diventare maestra elementare. Grazie alla sua strordinaria intelligenza superò l’esame di ammissione e vinse una borsa di studio statale, grazie alla quale a 19 anni si diplomò maestra.

Quando terminò gli studi per qualche anno si dedicò all’insegnamento in varie scuole. I suoi direttori spirituali nel frattempo la convinsero a non farsi carmelitana, perché considerata troppo estroversa e dinamica per la vita del convento.

Quando conobbe la situazione discriminata in cui vivevano gli indios colombiani, decise di fare qualcosa per la loro promozione umana e per la loro evangelizzazione, ma non trovò nessuna congregazione interessata.
Nel 1914, trovò l’appoggio di monsignor Maximiliano Crespo, vescovo di Santa Fe de Antioquia, e con il suo sostegno fondò la Congregazione delle Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina da Siena, un’opera religiosa pensata per realizzare l’ideale missionario e per “donne intrepide, valorose, infiammate nell’amore di Dio, pronte ad assimilare la loro vita a quella dei poveri abitanti della selva, per condurli verso Dio”.
Le “Missionarie catechiste degli indios” lasciarono Medellin per Dabeiba il 5 maggio 1914.

Partirono verso l’ignoto, per aprirsi una strada nella giungla e raggiungere gli indios catios. Insieme a Laura partirono la sua mamma, ormai settantenne, e alcune amiche, che furono poi chiamate “Laurite”.

“L’Opera degli indios” di Madre Laura consisteva nell’inserirsi nella cultura locale, vivere nella povertà, semplicità e umiltà e abbattere il muro della discriminazione razziale. Il suo zelo apostolico ricevette incomprensione e disprezzo e non mancarono i pregiudizi e le accuse di alcuni prelati che non compresero quello stile di essere “religiose capre”, con l’anelito di estendere la fede e la conoscenza di Dio in luoghi remoti e inaccessibili.
La sua Opera missionaria ruppe gli schemi, lanciando le donne come missionarie dell’evangelizzazione nell’America Latina.
Il suo motto fu la parola “Sitio” ovvero: “Ho sete… di Cristo nella Croce”. Scrisse per le sue Missionarie le “Voci Mistiche” e il Direttorio o guida di perfezione, per aiutarle nella vita apostolica e quella contemplativa.
Nella sua autobiografia mostrò la sua “pedagogia dell’amore”, adattata alla mentalità dell’indigeno, che le permise di addentrarsi nella cultura e nel cuore dei popoli che avvicinò.

Trascorse gli ultimi nove anni sulla sedia a rotelle.
Dopo una lunga agonia, morì a Medellín il 21 ottobre 1949.
Attualmente le Missionarie lavorano in 19 paesi. Il 25 aprile 2004 è stata proclamata beata.

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Data: 16/10/2013



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