Venerdì, 19 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA

Dal libro del Siràcide       

Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

SALMO RESPONSORIALE

Il povero grida e il Signore lo ascolta.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone. 
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

IL COMMENTO

Anche il vangelo di oggi - ed è la terza domenica di seguito - parla della preghiera. Due settimane fa', con l'episodio dei dieci lebbrosi risanati, uno solo dei quali torna a ringraziare, Gesù ha richiamato il dovere della riconoscenza per gli innumerevoli benefici del suo amore. Domenica scorsa, con la parabola della vedova instancabile nel chiedere, ha esortato a pregare sempre, con incrollabile fiducia. Oggi, con un'altra parabola - specialmente rivolta ad "alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri" - mette a confronto due diversi modi di rivolgersi a Dio.

La presunzione di essere giusti ci rende peccatori all'istante. La tentazione di dire "io sono come il pubblicano e non come il fariseo" già è un andare fuori strada con gravi conseguenze. Il tanto parlare del fariseo contrapposto all'essenziale del pubblicano indica subito una chiave di lettura: non sono le nostre parole a renderci giusti ma è la disponibilità ad accogliere la Parola.

"Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: ‘O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo'. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore'".

 Due uomini a confronto. Un fariseo, cioè un rappresentante di coloro che erano ritenuti (e si ritenevano) modelli dei credenti, sciorina davanti a Dio i propri meriti: "Io non sono come gli altri, ladri, ingiusti, adulteri... Io digiuno e pago le decime..." Osserva tutti i comandamenti, lui; tutti, tranne quello fondamentale, la carità; gonfio di superbia, sa solo disprezzare chi gli sta vicino. Vicino, come l'uomo postosi dietro di lui: un pubblicano, vale a dire un esattore delle tasse per conto degli odiati Romani; uno di quelli, come le prostitute, considerati pubblici peccatori, dai quali la gente "per bene" si teneva accuratamente a distanza.

Non però Gesù, che più volte ha dato scandalo lasciandosi avvicinare da loro e anzi andandoli a cercare, come nell'episodio che sentiremo domenica prossima. Anche con la parabola di oggi, c'è da scommettere, Gesù ha dato scandalo: ha messo un "perfetto" fariseo a confronto con un pubblicano, il quale "non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo" perché si riconosceva peccatore, e ha risolto il confronto a favore del secondo, che "a differenza dell'altro tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi invece si umilia sarà esaltato".

E' facile trasporre l'insegnamento della parabola dalla società ebraica di duemila anni fa alla nostra: vizi e virtù della natura umana restano immutati nel tempo. E dunque oggi come allora Dio non approva chi confida nei propri presunti meriti, chi si ritiene "a posto" perché non è ladro, ingiusto, adultero, perché magari ha compiuto un pellegrinaggio, dice il rosario, qualche volta fa persino l'elemosina. Davanti a Dio nessuno ha da vantarsi, perché nessuno che scruti dentro di sé si trova esente da colpe; se non altre, quelle ad esempio del tanto bene che le condizioni sociali, il tempo, i mezzi, le forze, le occasioni avrebbero reso possibile, e invece ha trascurato.

Dunque la preghiera è anzitutto l'antidoto a una vita superficiale; è un vivere in profondità, è un rientrare in noi stessi alla ricerca di chi veramente siamo, è la scoperta riconoscente degli infiniti doni ricevuti, è l'umile ammissione dei propri limiti confidando nell'inesauribile misericordia di Dio, accogliendo con intima gioia quell'Amore che, malgrado tutto, continuamente ci inonda. Con un proposito, nei confronti di quanti ci troviamo vicino: sostituire il disprezzo (compresa quella sua forma sottile che è l'indifferenza) con sentimenti in sintonia con quelli di Dio, il quale è il Padre nostro, ma anche il loro.

 

IL SANTO DELLA SETTIMANA 

1/stalfredo.JPGIl 26 ottobre ricorre la memoria di Sant’Alfredo detto il Grande, il quale nacque a Wantage, nel Ber-kshire, in Gran Bretagna, nell’849 ed è considerato come uno dei personaggi più affascinanti del medioevo britannico. Quarto figlio del re del Wessex Etelvulfo, succeduto pacificamente ai suoi tre fratelli, divenne re del Wessex e della Mercia nell’871. Combatté i danesi invasori infliggendo loro la prima sconfitta nelle Berkshire Downs. Grazie a questa fu l’unico re inglese ad avere ottenuto l’epiteto di Grande. Fu anche il primo re del Wessex a chiamarsi Re d’Inghilterra. Le notizie sulla sua vita sono giunte grazie all’opera dello studioso gallese Asser.

Alfredo fu anche un uomo molto colto e di lui si narra che incoraggiò l’istruzione e migliorò il sistema di leggi dello stato. Fu anche soprannominato il “Giustiniano inglese”.

Alfredo favorì lo sviluppo della cultura traducendo o facendo tradurre dal latino testi di teologia e di storia. Contribuì alla stesura della “Cronaca degli Anglosassoni”, il primo documento di storia scritto in inglese antico. Inoltre fece costruire la prima flotta da guerra inglese.

Diffuse la cultura attraverso traduzioni di opere latine, come la “Historia Ecclesiastica Gentis An-glorum” di san Beda il Venerabile (672-735), monaco anglosassone e Dottore della Chiesa. Si racconta che a 5 anni, nell’853, fu mandato a Roma, dove fu cresimato da Papa Leone IV, che lo unse come re.

Però questa storia è probabilmente apocrifa, perché fu nell’854-855 che Alfredo andò col padre in pellegrinaggio a Roma, passando dalla corte di Carlo il Calvo. Con la salita al trono del terzo fratello, Etelredo, iniziò la vita pubblica di Alfredo, con il suo grande lavoro per salvare l’Inghilterra dai Danesi, che allora si erano stanziati in una parte dell’isola. Nell’868 Alfredo sposò Ealhs-with, figlia di Etelredo Mucill e nipote di un passato re della Mercia.

I due ebbero cinque figli, tra cui Ethelfleda, poi regina della Mercia.

Lo stesso anno Alfredo, combattendo al fianco di suo fratello Etelredo, fallì il tentativo di liberare la Mercia dalla pressione dei danesi.

Per quasi due anni il Wessex ebbe una tregua. Ma alla fine dell’870 le lotte ricominciarono e l’anno che seguì fu chiamato “l’anno di battaglie di Alfredo”.

Sono tramandate nove battaglie, combattute con alterne fortune, di cui si ricordano una vittoriosa schermaglia nella battaglia di En-glefield, Berkshire (31 dicembre 870), seguita da una sonora sconfitta nella battaglia di Reading (4 gennaio 871), e quattro giorni più tardi, dalla brillante vittoria nella battaglia di Ashdown, vicino Compton Bea-u­champ nello Shriwenam Hun-dred. Il 22 gennaio 871 gli inglesi furono sconfitti ancora a Basing, e il 22 marzo 871 a Marton. Alfredo impose la propria superiorità sui Regni Anglo-Danesi con le vittorie militari di Ethandun, di Benfleet, di Buttington. Fu re del Wessex dall’871 all’878. Il re danese Guthrum fu sconfitto grazie al ricorso di tecniche dell’esercito romano, che Alfredo aveva avuto modo di apprendere nella sua educazione.

La pace permise ad Alfredo di dedicarsi alla riorganizzazione economica ed amministrativa del regno.

Nell’878, però, il re Guthrum costrinse Alfredo a ritirarsi ad Athel-ney, nelle paludi del Somerset.

Tuttavia lui seppe riprendersi brillantemente e nel maggio di quello stesso anno Guthrum fu sconfitto a Edington, accettò il battesimo con 29 dei suoi nobili (pace di Wed-more), e si ritirò nell’Anglia orientale. Dall’878 alla morte fu re degli Anglosassoni. Nell’886 Alfredo strappò ai danesi anche Londra, e nell’893, respinse una nuova invasione che, gli consentì poi di ottenere la vittoria decisiva dell’897.

Alfredo diede la sua impronta su gran parte dell’Inghilterra non solo da un punto di vista militare ma anche politico e culturale: riorganizzò l’amministrazione e la giustizia, protesse il Wessex con una rete di città fortificate e diede inizio a quella che fu la cultura anglosassone. Morì nell’899, all’età di 50 anni. Re Alfredo fu sepolto nella vecchia cattedrale di Winchester. Poi nell’Abbazia di Hyde nel 1110, che nel 1539 fu distrutta.

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Data: 24/10/2013



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