Venerdì, 29 Marzo 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

PRIMA LETTURA

Dal libro della Sapienza  
Signore, tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, 
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano
e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.

SALMO RESPONSORIALE

Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.

O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.

Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.

SECONDA LETTURA

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési
Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.
Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. 
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

IL COMMENTO

Il vangelo di domenica scorsa metteva a confronto un fariseo e un pubblicano.

E un pubblicano torna nel vangelo di questa domenica, da co-protagonista di un episodio accaduto a Gerico. Un giorno Gesù giunse in questa città, preceduto dalla fama di maestro e guaritore, sicché, percorrendo la strada che la attraversava, si trovò attorniato da tanta gente, forse interessata ai suoi discorsi, forse semplicemente curiosa, magari di vederlo compiere qualche miracolo. Anche "un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là".

C'è qualcosa di buffo in quest'uomo potente, da tutti evitato e odiato come oppressore del suo popolo, il quale rischiò il ridicolo mettendosi, possiamo immaginarlo, a saltellare sulle sue gambe corte e poi addirittura arrampicandosi su un albero. A rischio, pur se per altri motivi, fu anche la credibilità di Gesù, quando, giunto sotto di lui, "alzò lo sguardo e gli disse: Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scandalo dei presenti: nessuno di loro sarebbe mai andato ad alloggiare da un pubblico peccatore; come poteva farlo chi addirittura passava per maestro nella fede?

Ma il Maestro guardava più in là, e infatti, onorato dalla sua degnazione che lo toglieva dall'ostracismo sociale e religioso, Zaccheo fece quanto nessuno si sarebbe aspettato: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, gli restituisco quattro volte tanto". Illuminante, la risposta di Gesù: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".

A volte basta poco a cambiare una vita sbagliata. Se invece del disprezzo si guarda a chi è "lontano" con rispetto, se gli si dedica attenzione quando non amore, si possono ottenere esiti sorprendenti. Nessuno mai è da ritenere irrimediabile; anche chi fosse precipitato nell'abisso è dotato di risorse sufficienti a risalirne; se poi l'intelligenza e la volontà non bastassero, non gli mancherà certo l'aiuto di Dio. Il cambiamento porta Zaccheo a un programma di vita, in cui alla giustizia (risarcire chi ha frodato) associa la carità (beneficare i poveri). Sono impegni la cui validità travalica i tempi, e certo trova anche oggi ampi spazi di applicazione: i giornali traboccano di casi di ingiustizia, cui di rado si pone rimedio, e guardando al terzo o quarto mondo non si può dire che il primo e il secondo eccedano nella carità. Non parliamo poi di quanto non affiora alla pubblica considerazione, ma rimane sepolto nella coscienza individuale.

Nell'odierno episodio del vangelo si può vedere anche un aspetto a valenza non solo religiosa: un implicito elogio della curiosità. Quando non prende strade distorte la curiosità è una potente molla benefica: favorisce il progresso scientifico, stimola incontri e relazioni, arricchisce. Quando poi si volge alla ricerca delle manifestazioni di Dio, l'uomo arrampicatosi sul sicomoro, dimostra a quali esiti la curiosità può condurre.

Infine un pensiero ai nostri cari defunti ai quali sono dedicati i prossimi giorni.
La loro commemorazione è un momento propizio per riflettere sul senso ultimo della nostra esistenza, e su come siamo in grado di gestire il tesoro della vita che il Signore ci ha affidato. Sono giorni in cui l'uomo scopre tutta la sua fragilità e tutta la sua debolezza, il suo essere peccatore che lo distacca da Dio e lo fa sentire "piccolo", ma insieme a tutto questo viene a conoscenza di una altrettanto grande verità: che non è abbandonato a se stesso ma come uomo è chiamato ad alzare lo sguardo verso l'alto ed a vivere come "essere redento".
E' l'occasione buona per rendersi conto che siamo figli di Dio, di un Dio che ha dato la sua vita come pegno di salvezza. E per pregare per i nostri cari defunti.

IL SANTO DELLA SETTIMANA 

1/nuno.JPGIl santo di questa settimana, il giorno della sua canonizzazione, il 26 aprile 2009, è stato salutato come “colui al quale si deve l’esistenza del Portogallo”. Parliamo di San Nuno Alvares Pereira, figura emblematica della cavalleria, canonizzato da Benedetto XVI che ha esaltato la sua figura di cavaliere cristiano, impegnato nella “Militia Christi”, cioè nel servizio di testimonianza che ogni cristiano è chiamato a dare al mondo. Nacque a Cernache do Bonjardim, nei pressi di Lisbona, il 24 giugno 1360 da don Alvaro Goncalves de Pereira, grande maestro di uno dei rami del-l’Ordine dei Cavalieri di San Gio-vanni in Gerusalemme e da Iria Gonçalves do Carvalhal, entrambi discendenti da nobili famiglie portoghesi. All’età di tredici anni si trasferì alla corte del re Ferdinando del Portogallo per avviarsi alla carriera militare. Fu armato cavaliere, per speciale concessione del Gran Maestro dell’Ordine Militare di San Benedetto d’Aviz, il futuro re Giovanni I il Buono. Nel 1377 sposò Leonora de Alvim, nobile originaria del nord del Portogallo.
Ancora giovane fu coinvolto nella causa dell’indipendenza portoghese e della successione al re Ferdinando il Bello (1345-1383). Nell’ottobre del 1383, alla morte di Ferdinando del Portogallo, come da accordi prematrimoniali, la regina Eleonora assunse la reggenza del regno del Portogallo per conto della figlia, Beatrice che aveva appena sposato sposò Giovanni I di Castiglia e Ara-gona. In Portogallo, però, non tutti accettarono la situazione in quanto la reggente aveva fama di adultera e perché se Beatrice fosse morta prima del marito, si sarebbero trovati un re straniero. Un gruppo di nobili, tra cui Nuno, nel dicembre del 1383, proclamò Giovanni di Aviz, fratellastro di Ferdinando, re del Portogallo, con il nome di Giovanni I. Giovanni di Castiglia, chiamato da Eleonora, nel gennaio del 1384, invase il Portogallo. Nel mese di aprile Giovanni I nominò Nuno Alvares Pereira, che nel frattempo aveva guidato un distaccamento portoghese alla vittoria nella battaglia di Atoleiros, Connestabile del Portogallo e comandante supremo dell’esercito portoghese, a soli 24 anni. Gli storici militari considerano Nuno uno dei più grandi generali europei per la vittoria riportata nella battaglia di Aljubarrota del 14 agosto 1385, decisiva per la vittoria portoghese. Questo scontro è importante nella storia delle guerre europee, perché fece emergere la superiorità degli eserciti leggeri e mobili su forze numericamente preponderanti incentrate sulla cavalleria. “Seimila portoghesi sconfissero trentamila spagnoli grazie a una strategia che prevedeva che la cavalleria pesante castigliana venisse attirata su un terreno costellato di palizzate appositamente erette per rendere difficili le manovre dei cavalli, i quali venivano uccisi da fanti o da cavalieri portoghesi capaci di smontare e risalire rapidamente”.
Nuno Alvares Pereira combattè personalmente in prima linea.
La vittoria di Aljubarrota, seguita da quella durata ben due giorni e due notti di Valverde (15-16 ottobre 1385) fece del Portogallo un paese libero. Nuno fu considerato uno dei migliori generali portoghesi e mantenne il titolo di connestabile per tutta la vita. Dopo essere rimasto vedovo, nel 1415 perse anche la figlia Beatriz, che aveva sposato il duca Alfonso I di Braganza, figlio naturale del re Giovanni I, e aveva dato origine alla casa reale e imperiale di Braganza. Decise allora di ritirarsi a vita privata e nel 1422 fondò un nuovo convento carmelitano a Lisbona. Il 15 agosto 1423 entrò nel Convento del Carmelo, dove pronunciò i voti di oblato, rifiutando tutte le cariche che gli furono offerte e vi si ritirò per il resto dei suoi giorni come fratello laico, assumendo il nome di Nuno de Santa Maria. Morì il 1° aprile 1431, mentre leggeva la Passione di Gesù.
Fu sepolto nel suo convento a Lisbona e acclamato dal popolo santo ed eroe nazionale. La tomba e lo stesso convento furono distrutti dal terremoto nel 1755. I resti ritrovati riposano nella moderna Igreja do Santo Condestável a Lisbona.
Fu beatificato da Benedetto XV nel 1918. In Portogallo è festeggiato il 6 novembre.

APPROFONDIMENTI

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Data: 29/10/2013



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