Sabato, 20 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

IL COMMENTO DI DON DOGLIO

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PRIMA LETTURA

Dal libro del profeta Isaìa

Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.

SALMO

Solo in Dio riposa l’anima mia.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: mai potrò vacillare.

Solo in Dio riposa l’anima mia:
da lui la mia speranza.
Lui solo è mia roccia e mia salvezza,
mia difesa: non potrò vacillare.

In Dio è la mia salvezza e la mia gloria;
il mio riparo sicuro, il mio rifugio è in Dio.
Confida in lui, o popolo, in ogni tempo;
davanti a lui aprite il vostro cuore.

SECONDA LETTURA

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi 

Fratelli, ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele. 
A me però importa assai poco di venire giudicato da voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! 
Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode.

VANGELO

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 
Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 
E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 
Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

IL SANTO

fonte:"IL POPOLO"

1/sangiogiudellacroce.JPGLa Chiesa il 5 marzo ricorda san Giovanni Giuseppe della Croce, frate dell’Ordine dei Frati Minori, proclamato santo il 26 maggio 1839 da Gregorio XVI. Il santo nacque a Ischia il 15 agosto del 1654 come Carlo Gaetano nella nobile famiglia Calosirto, molto devota alla Vergine Maria per la cui intercessione all’età di due anni il piccolo Carlo guarì miracolosamente dalla peste.

Si racconta che i genitori, mentre lo stavano portando ai piedi della Madonna della Libera, venerata nel Castello Aragonese, si accorsero che i bubboni erano completamente scomparsi. Educato dai padri agostiniani, a 15 anni chiese di essere accolto nella congregazione dei Francescani Scalzi, detti “Alcantarini” perché osservanti la Regola dei Frati Minori secondo la severa riforma attuata nel ’500 da S. Pietro d’Alcantara. A 16 anni entrò nel convento napoletano di Santa Lucia al Monte e assunse il nome di Giovan Giuseppe della Croce. Giuseppe lo scelse per la sua grande devozione allo sposo della Vergine e per l’affetto al padre di nome Giuseppe, morto quando lui aveva 10 anni e Giovanni per l’ammirazione che nutriva verso il Battista e in onore dell’Evangelista a cui dalla croce Gesù consegna Maria come madre.

Dopo la solenne professione religiosa, avvenuta il 24 giugno 1671, fu inviato assieme ad altri undici frati, di cui egli era il più giovane, a Piedimonte d’Alife dove presso il santuario di Santa Maria Soccorrevole edificarono un convento.

Il santo in questo luogo si dedicava alla preghiera lunga e fervorosa nel silenzio abitato da Dio e per farlo meglio costruì quasi da solo un altro piccolo conventino detto “La Solitudine” in una zona più nascosta del bosco.
Consacrato sacerdote il 18 settembre 1677, per parecchi anni fu contemporaneamente maestro dei novizi a Napoli e padre guardiano del convento a Piedimonte, mentre si adoperava anche per la costruzione del convento del Granatello in Portici.

Il desiderio di silenzio e di unione gli donarono una sensibilità maggiore per le tante miserie morali e materiali che incontrava nei vicoli di Napoli, che percorreva sempre scalzo malgrado ogni intemperie, per alleviare le sofferenze dei poveri, specialmente durante le varie epidemie che colpivano la popolazione. Ammalatosi gravemente, i superiori lo mandarono nella natia Ischia. Appena guarito, tornò nuovamente per le strade di Napoli, povero tra i poveri con sempre indosso il suo unico saio così tanto rattoppato che affettuosamente i napoletani cominciarono a chiamarlo “Padre Centopezze”.

Sui suoi passi fiorirono numerosi miracoli: apparizioni della Madonna e di Gesù Bambino, bilocazioni, levitazioni, profezie, guarigioni, moltiplicazioni, addirittura la risurrezione del marchesino Gennaro Spada. Cominciò ad essere ricercato per la confessione e la direzione spirituale anche da santi come Alfonso Maria de’ Liguori e il gesuita Francesco de Geronimo (con i quali, nel 1839, fu anche canonizzato).

Agli inizi del 1700 sorsero dissensi tra gli alcantarini provenienti dalla Spagna e quelli italiani che portarono alla decisione pontificia di separare i due gruppi.

Padre Giovan Giuseppe venne messo a capo dei circa 200 alcantarini italiani che egli guidò al rispetto più conforme della Regola, avendo particolare cura per la formazione dei novizi e dei chierici; cercò sempre di tessere rapporti di vera carità con i confratelli spagnoli finché nel 1722, con decreto pontificio, i due rami alcantarini furono nuovamente uniti.

Morì il 5 marzo 1734, nello stesso convento napoletano di Santa Lucia al Monte in cui era entrato novizio 65 anni prima.

Al confratello che lo assisteva, disse come ultime parole: “Ti raccomando la Madonna!” a prova del suo amore filiale a Maria.

Fu beatificato nel 1789 e per acclamazione popolare eletto compatrono di Napoli.

Nel 2003 il vescovo di Ischia ha ottenuto che le spoglie venissero trasferite nel convento francescano dell’isola, tra la sua gente che lo venera come santo patrono.

 

Data: 26/02/2014



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