Venerdì, 26 Aprile 2024
Diocesi di Tortona
Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Guido Marini
Vescovo

IV DOMENICA DI PASQUA

IV DOMENICA DI PASQUA

LA PAROLA DEL VESCOVO

 Commento del Vangelo  in collaborazione con la Radio della Diocesi di Tortona. Clicca qui per ascoltare.

PRIMA LETTURA

Dagli Atti degli Apostoli
In quei giorni, Paolo e Bàrnaba, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia, e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero.
Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio.
Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».
Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.


SALMO RESPONSORIALE

Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida.

Acclamate il Signore, voi tutti della terra,
servite il Signore nella gioia,
presentatevi a lui con esultanza.

Riconoscete che solo il Signore è Dio:
egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
suo popolo e gregge del suo pascolo.

Perché buono è il Signore,
il suo amore è per sempre,
la sua fedeltà di generazione in generazione.

SECONDA LETTURA

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo
Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.
E uno degli anziani disse: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.
Non avranno più fame né avranno più sete,
non li colpirà il sole né arsura alcuna,
perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,
sarà il loro pastore
e li guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

IL VANGELO DELLA DOMENICA

Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

IL COMMENTO

Parole quali “pecora, pastore, gregge, pascolo…” ricorrono spesso nella Bibbia.

Dio stesso è chiamato “Pastore d’Israele”: conduce il suo gregge con amore e lo guida verso pascoli abbondanti e sorgenti d’acqua fresca.

Le grandi figure dell’AT come Abramo, Giacobbe, Davide sono stati custodi di greggi. Anche il Messia è annunciato dai profeti come un pastore che pascerà Israele.

Dai Vangeli ricordiamo, per esempio, la parabola della pecorella smarrita… che dal III sec. compare nelle catacombe come immagine di Cristo pastore con una pecorella sulle spalle.

La IV di Pasqua è detta domenica del buon pastore, perché in essa, ogni anno, la liturgia propone un brano tratto dal cap. 10 di Giovanni nel quale Gesù si presenta come il vero pastore.

1. “…nessuno le rapirà dalla mia mano”: ho accennato all’immagine del Maestro che tiene sulle spalle una pecorella. È vero: Gesù è buon pastore nel senso che va alla ricerca delle pecora smarrita. Qui Giovanni ci offre di Gesù un’altra immagine: non di chi accarezza affettuosamente la pecora ferita, ma come l’uomo forte, deciso, che si batte contro i banditi e gli animali feroci. Gesù è buon pastore perché non ha paura di lottare fino a dare la propria vita per il gregge che ama. “Non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”: la loro salvezza è garantita non dalla loro docilità, dalla loro fedeltà, ma dalla sua iniziativa, dal suo coraggio, dal suo amore gratuito. Questa è la bella notizia che viene dalla Pasqua e che dobbiamo comunicare a ogni uomo. L’immagine più adeguata a quella del buon Pastore è il Crocifisso, dove troviamo ben poca poesia o pii sentimenti, quanto la verità cruda ma consolante di un Pastore immolato per il suo gregge!

2. “Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono”: si instaura una relazione di vita che comporta alcuni passi importati.

Ascolto: il primo è ascoltare la voce di Gesù che chiama, parla, insegna. Quanti “pastori” oggi sul mercato! Promettono benessere, felicità e poi? Allora occorre discernere la voce di Gesù dalle altre voci che mandano messaggi fuorvianti. Per fare questo occorre ascoltare a lungo la voce del Pastore, attraverso la lettura del Vangelo. Il discepolo è colui che fa della Parola l’alimento costante per la sua fede e la forza insostituibile per la sua carità. “Fides ex auditu!”: la fede nasce dall’ascolto!

Rapporto profondo: dall’ascolto, dal dialogo con il Signore scaturisce una esperienza spirituale ricca e intensa. Chiamiamola preghiera, meditazione, adorazione… ci accorgiamo di conoscere di più Gesù, ma soprattutto di essere conosciuti meglio da Lui.

Sequela: l’ascolto porta alla decisione di seguire il Maestro, di farlo diventare veramente il buon Pastore della nostra vita. Ora il Pastore conosce i sentieri da percorrere per giungere a “pascoli erbosi e ad acque tranquille”, sa quando fermarsi e quando proseguire, individua pericoli e minacce, dirupi e deserti… La sequela è essenzialmente un atto di fiducia e di abbandono, che non ha nulla a che vedere con l’inattività o la rassegnazione. È un grande atto di amore: si mette la propria vita nelle mani di Gesù. Diventare discepoli non è in primo luogo una questione di azione, di fare, ma di consegna, di affidamento: mi fido e mi affido a Lui. Questo è il discepolo!

3. Domenica di preghiera per le vocazioni. La vocazione è un argomento importante che pochi sanno affrontare con lo sguardo giusto!

Una sola è la vocazione cui TUTTI siamo chiamati, quella di amare (=santità) Dio e gli altri, come ha fatto Gesù. Nella Chiesa questa unica vocazione si attua attraverso due stili di vita: quella matrimoniale e quella della vita religiosa. Sono di pari dignità e sia chi è sposato sia chi entra in convento o si fa prete è chiamato a diventare discepolo del Signore e a seguirlo sulla via del Vangelo.

Oggi preghiamo in modo particolare perché nella Chiesa ci siano giovani disponibili a seguire Gesù buon Pastore più da vicino, diventando a loro volta pastori “secondo il Suo cuore”.

E come ricorda lo slogan di quest’anno: Progetta con Dio… abita il futuro!

Marco Daniele

IL SANTO DELLA SETTIMANA

Fonte: IL POPOLO

Il santo di questa settimana, san Corrado da Parzham, che la Chiesa ricorda il 21 aprile, fu un umile cappuccino che per quasi tutta la vita fece il portinaio del convento.
La sua fu una vita semplice e lineare e la sua santità è ancora oggi un modello imitabile e attuale, capace di assumere toni profondi e penetranti.
Nacque a Venushof nella regione di Parzham, vicino a Passau, in Baviera, il 22 dicembre 1818 da Bartolomeo Birndorfer e Gertrude Nieder-Mayerinn di Kindlbach, ricchi e devoti contadini della valle di Rott, e fu battezzato con il nome di Giovanni Evangelista.
Era il penultimo di dodici figli e rimase orfano a 16 anni. Era un ragazzo mite, allegro, amante della natura, sano e forte e si dedicò con impegno ai lavori dei campi.

Mentre lavorava, recitava il rosario che teneva sempre legato al polso e con i dipendenti avere sempre un rapporto sereno e armonioso.
Amava partecipare alle missioni, alle processioni, ai pellegrinaggi ed era iscritto a molti gruppi, confraternite e pie unioni.
Conosceva tutte le chiese e i santuari del circondario e faceva molta strada per andare a messa. Della sua vita si conosce poco, perché come scrive il suo più antico biografo Wolfgang Beyer, “egli non ha mai parlato di se stesso”, si sa solo che era chiamato l’angioletto di Venushof.

A 19 anni tentò, senza esito, di studiare nel ginnasio dei benedettini di Metten a Deggendorf.
Nel 1841 professò la regola del Terz’Ordine francescano.
A 31 anni, nel 1849 entrò tra i cappuccini di Altötting come terziario e nel 1851 nel convento di Laufen iniziò l’anno di noviziato come fratello laico.
Fu incaricato di aiutare l’ortolano e il giardiniere del convento.
Dopo un mese, fu colpito da una bronchite acuta e fu costretto a letto e da allora ebbe sempre una fastidiosa asma bronchiale.
Per tre anni fu impegnato nella formazione alla vita cappuccina, perfezionando le virtù e lo spirito di preghiera.

Il 4 ottobre 1852, si consacrò per sempre al Signore, facendo la professione religiosa e prendendo il nome di Corrado e da Laufen fu rimandato al convento-santuario di Altötting in Baviera e fu destinato all’ufficio di portinaio, compito che conservò fino alla morte.

 Di lui si diceva che “era un cappuccino con tutta l’anima e con tutto il corpo”. Durante il noviziato fece undici propositi “fatti con riflessione” ispirati da un grande buon senso e che riguardavano la presenza di Dio, il silenzio, il senso delle croci, il ritiro, l’amore fraterno, la mortificazione della gola e degli occhi, la prontezza al coro, la delicatezza e la discrezione con le donne, l’obbedienza e interna devozione alla Vergine.
È un martellante "voglio", ritornello della santità, che richiama la volontà di fede, di obbedienza e di servizio rimarcata retrospettivamente dal Poverello d'Assisi nel suo Testamento.

Fu portinaio per 41 anni, accanto al celebre santuario della Madonna, meta di numerosi pellegrinaggi.
Il povero frate cappuccino divenne il punto di riferimento di poveri, diseredati, tribolati e bambini. Dava senza misurare, senza giudicare e nessuno lo vide mai triste o nervoso.
Era sempre pronto ad ogni ora, ad ogni stagione.
Era detto il “santo portinaio” e la sua santità, fatta di eroica fedeltà e di forte devozione eucaristica e mariana, nella semplicità della vita quotidiana, era avvolta di silenzio e di carità. Per il suo carattere timido e riservato, parlava poco, con brevi frasi, ma piene di spirito. Come scrisse in una lettera del 3 ottobre 1873 “il suo tesoro era la preghiera e il suo segreto era il silenzio”.
Quando distribuiva il cibo ai poveri e si recava in cucina, il frate cuoco si lamentava scherzosamente: “Mettete i coperchi, altrimenti ci prende tutto”. Ed egli sorridente rispondeva: “Tutto ciò che si dà ai poveri ritorna nuovamente dentro con abbondanza”.
Ai numerosi pellegrini del santuario distribuiva birra e pane, ma si raccomandava al confratello addetto alla birreria del convento, di farne “molta e leggera”.

Il 18 aprile 1894 al termine di una pesante giornata si mise a letto “per prepararsi all’eternità”.
Morì il 21 aprile 1894 a 76 anni.
La sua causa di canonizzazione fu straordinariamente veloce, anche se tutta la documentazione poté essere inviata a Roma solo alla fine del 1919 a causa della guerra.
Pio XI, nel 1930 lo proclamò beato e il 20 maggio 1934 egli stesso lo canonizzò.
Egli è compatrono della Provincia cappuccina di Baviera e dell'Ungheria e patrono delle unioni giovanili, dell'Opera Serafica di Carità e della gioventù cattolica di Würzburg.

APPROFONDIMENTI

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Data: 15/04/2013



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